Episodio 07 | “FAI USCIRE IL PROSSIMO… “

 

Una delle pagine più note, probabilmente anche più belle e amate dell’intera Bibbia, è la famosa parabola del buon samaritano, contenuta nel Vangelo di Luca al capitolo 10.
La parabola del buon samaritano è stata spesso commentata; è facile trovare libri, omelie e saggi ad essa dedicati.
E anche è stata presa molto in considerazione dallo stesso Cardinal Martini, Arcivescovo di Milano, nella sua lettera pastorale “Farsi prossimo”.
Quello su cui si riflette poco, almeno a livello più ‘semplice’ e ‘popolare’, ma che ha una grande importanza, è come nasce questa parabola.

Perché c’è questa parabola?

A che cosa risponde?

Dai passaggi immediatamente precedenti alla parabola detta da Gesù, leggiamo questo, al versetto 25 del capitolo 10:

Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova:
«Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?».

Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?».

Costui rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso».

E Gesù: «Hai risposto bene; fa questo e vivrai».

Solo che, a seguire, vediamo che il dottore della legge chiede:
“Va bene, ma chi è il mio prossimo?”

E da qui nasce la parabola.
Quindi, l’antefatto è un dottore della legge che si alza per mettere alla prova Gesù.
A differenza di altri che mettono alla prova Gesù per farlo cadere in errore, questo dottore della legge mette alla prova Gesù per saggiarne le competenze e la profondità spirituale; è come un allievo che mette alla prova il maestro, ma non per farlo sbagliare. Lo mette alla prova per imparare di più da Lui; quindi, si tratta di “un mettere alla prova” positivo. E questo si capisce dalla estrema semplicità, empatia e cordialità con cui Gesù Si approccia a lui.

Dalla domanda “Che cosa devo fare per ereditare?” (Nota al volo: “per ereditare”, non per guadagnare o comprare, perché la Vita eterna ci è data in dono e l’uomo liberamente la deve in qualche modo cercare, elemento che meriterebbe di essere sviluppato, ma in una prossima occasione. Chiusa nota), si capisce che l’atteggiamento di questo dottore della legge non è quello di chi pretende, ma di chi cerca di capire: “Come mi posso mettere nell’atteggiamento [giusto] per ereditarla?” .

Gesù non risponde alla domanda direttamente, ma risponde con due altre domande, che sembrano molto simili, ma che in realtà sono diverse e complementari una con l’altra.

Gesù gli disse: “Che cosa sta scritto nella legge?”
E, nella versione della Bibbia di Gerusalemme: “Che cosa vi leggi?”
In altre versioni ancora è: “Come vi leggi?”
Quindi: il cosa e il come.
La Legge, il testo sacro, ha una sua oggettività, c’è scritto qualcosa e non qualcos’altro: e questo noi non lo possiamo negare.
E quindi c’è un primo approccio alla Legge, noi potremmo dire: un primo approccio alla Parola di Dio. Potremmo anche dire: un primo approccio alla Vita che deve tenere conto di ciò che è e della sua realtà.
Ma la realtà, da sola, non basta.
La realtà va interpretata, ed ecco allora la seconda domanda “Che cosa vi leggi?” o, nell’altra versione, “Come vi leggi?”
Cioè: di tutto quello che tu dici, come lo applichi alla tua vita?
Spetta a te interpretare, leggere, dare significato alle cose.
Ecco, quindi, che se da un lato non possiamo cambiare le parole della Bibbia, dall’altro abbiamo però la grande responsabilità di farle nostre, nutrircene e digerirle, interpretarle.
E sappiamo bene che, a seconda delle sensibilità, la parola di Dio dice cose diverse e, purtroppo, per alcuni dice anche cose che sono contrarie al buon senso e, probabilmente, contrarie allo Spirito stesso della Parola.

Però Gesù non ha l’atteggiamento saccente del “Ti insegno Io, Ti dico io, Io maestro e tu allievo, tu sei un vaso vuoto da riempire e Io maestro travaserò un po’ della mia conoscenza dentro di te!”
No! L’atteggiamento di Gesù è quello di educare, e-ducere, tirar fuori: cioè è un atteggiamento ‘maieutico’.
Vale a dire: “Bene, ma tu, che mi stai facendo questa domanda, come rispondi TU alla stessa domanda che hai fatto a me?”
E da qui possiamo partire; quindi c’è dentro una grande pedagogia.
L’atteggiamento di Gesù non è quello di chi sa di trasmettere qualcosa a chi non sa: è piuttosto quello di chi si pone in un profondo ascolto di ciò che gli viene chiesto e aiuta il suo interlocutore a ragionare, a tirar fuori le risposte che probabilmente ha già dentro, ma che ancora non conosce.

Questo è l’atteggiamento di Gesù nei nostri confronti, sempre.
Certo, certe volte può essere più ‘direttivo’, altre volte può sembrare più duro o più empatico, ma questo fa parte della vita.
Ma Gesù, che è IL maestro – con ‘il’ articolo DETERMINATIVO – ha l’atteggiamento di chi non considera gli altri inferiori a se stesso.
Ed è proprio grazie a questo atteggiamento che quel dottore della legge può penetrare, ancora più profondamente, che cosa significhi “amare il prossimo come se stessi”.

Il pensiero del dottore della Legge passerà dal punto di partenza “Chi è il mio prossimo? Chi sono le persone a cui io, secondo la legge, sono tenuto a farmi vicino?” al punto di arrivo “Chi sono le persone a cui io mi faccio prossimo?”.
Il mio prossimo sono tutti. Ma a chi IO mi faccio prossimo?
Gesù è in grado di tirar fuori il meglio anche da questo dottore della legge, anche da ciascuno di noi.

 

La riflessione di oggi è la tappa finale di questo percorso “La pedagogia di Gesù”, a cui sto preparando un’appendice, una conclusione che lasci traccia di quanto seminato in queste settimane di cammino.

Dario