Credo che la Giornata Mondiale del Malato, che si celebra l’11 febbraio in occasione della festa liturgica della Madonna di Lourdes, possa essere un’occasione per la Chiesa per ragionare – oltre a quanto chiede espressamente il Papa con la sua lettera – cioè “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro” – lettera messaggio per l’occasione di questa Giornata. Potrebbe essere cioè anche un’occasione, un punto di partenza per riflettere concretamente sul periodo dei due anni appena trascorsi.

Io credo che, mi spiace dirlo, la Chiesa, parlo in particolare della Chiesa milanese e italiana, abbia finora perso un’occasione enorme per fare ‘gol’. Si è trovata ‘a porta vuota’, ma ha calciato a lato, perché ha perso secondo me l’opportunità per incontrare la sofferenza e la malattia.

Faccio degli esempi.

Ci si è concentrati molto, soprattutto a livello mediatico, sul discorso “Messa si / Messa no”, ma non si è fatto abbastanza – anzi, credo non si sia fatto quasi nulla – di fronte al fatto che molti assistenti spirituali e cappellani fossero messi fuori dagli ospedali per motivi di “sicurezza”.

Il cappellano o l’assistente spirituale – come sono io, che non sono prete, sono diacono – DEVE, sottolineo la parola ‘deve’, entrare nei luoghi di cura. E la Chiesa non può essere indifferente sul fatto che questo non è accaduto. Ci può essere la paura del singolo, che va rispettata e quindi magari il singolo non entra, per timore, ma come Chiesa bisogna dire che i cappellani e gli assistenti spirituali, cioè chi si prende cura di questa parte dell’umanità, devono essere presenti nei momenti di difficoltà.

Gesù ha toccato il lebbroso, contrariamente a tutte le regole dell’epoca. Un cristiano non può stare lontano solo per paura di un virus. Certo, deve rispettare tutte le regole – bardato con mascherine, disinfettanti, tutto quello che fa un qualunque operatore sanitario lo deve fare anche l’assistente spirituale – ma DEVE stare dentro.

E’ stata per me motivo di grande sofferenza essere allontanato dalla struttura sanitaria – per un periodo peraltro breve, poi io di fatto sono riuscito a rientrare e ho avuto la possibilità anche di portare la Comunione, momenti di preghiera in reparti, in zone covid. Però è quasi più un’eccezione che una regola.

“Messa sì/Messa no”, chiedo scusa ma, di fronte a questo, è un problema secondario. Posso capire i non-assembramenti, ci ragioniamo su; posso capire anche che, a un certo punto, anziché fare la Messa a chiesa piena, si possa dire “100 vengono questa settimana, 100 vengano la prossima”… Insomma, si può ragionare. Ma non si può stare lontano da chi è malato e da chi soffre.

Purtroppo abbiamo perso l’occasione. Tante preghiere e poca vicinanza. E non credo che questo sia compito il della Chiesa.
Preghiere sì e vicinanza anche
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Adesso abbiamo l’occasione di riflettere, di chiedere anche perdono per la nostra lontananza; abbiamo l’occasione per costruire e inventarci un futuro diverso e, come Gesù si è avvicinato al lebbroso, noi possiamo avvicinarci a qualunque malattia. Con i dovuti metodi – perché la scienza ci consegna delle conoscenze che ai tempi di Gesù non c’erano, ma non si sta distanti. Il motivo di non rischiare di infettarti, non rischiare di infettare chi sta fuori, non è valido per un ministro della consolazione.