Covid-19, non torniamo alla normalità. La normalità è il problema
Questo è il titolo di un articolo, che vi invito a leggere integralmente, di Angel Luis Lara e tradotto in italiano da Pierluigi Sullo. Io mi permetto di “rubare” il titolo che ho trovato molto suggestivo e in linea con una considerazione che dall’inizio della “quarantena” mi tormenta e mi impegna in continue riflessioni.
Il tormento è: se il nostro obiettivo principale è tornare ad una presunta normalità dove normalità è né più né meno quanto si faceva prima allora significa che tutto quanto sta accedendo sta accadendo invano! I morti, le sofferenze fisiche e psichiche, il danno economico, non sono serviti a nulla. È sotto gli occhi di tutti, almeno io credo sia evidente, che il “sistema normale” in cui abbiamo vissuto sino all’inzio dell’epidemia sia un sistema malato e neanche tanto asintomatico. Ma forse non è così evidente o forse abbiamo tutti interesse a nascondere la verità perchè la verità sarebbe scomoda poiché ci impegnerebbe in un faticoso percorso di cambiamento.
Immagino che qualcuno si stia chiedendo “Ma cosa non andava bene prima tanto da provocarti (a me) così timore di tornare alla situazione che abbiamo lasciato?”
L’articolo citato pone l’attenzione su alcuni aspetti economici e in particolare della produzione agroalimentare. Io, che non ho pretesa di verità ne sono capace di proporre soluzioni immediate, vorrei che facessimo un serio esame di coscienza su alcuni altri aspetti.
Occorre però una premessa, previa ad ogni ragionamento: di cosa stiamo parlando? Ad oggi non abbiamo ancora numeri precisi, studi statistici reali su cosa è successo, sta succedendo, sarebbe successo adottando altri comportamenti. Inoltre manca completamente una seria analisi di altri dati ovvero: convertendo molti reparti e ospedali interi per fronteggiare il Covid-19 cosa è successo a persone affette da altre patologie che non hanno potuto curarsi? Le difficoltà economiche quanto incidono e su chi e quanto danno producono in prospettiva?
Tutto ciò non per criticare le scelte fatte ma per inquadrare la questione, a tutt’oggi non chiara e non precisa.
RSA (Residenza Sanitaria Anziani)
Sono ormai da qualche tempo avviate indagini per accertare eventuali responsabilità sulla gestione dell’emergenza all’interno di strutture per l’accoglienza di persone anziane; indagini iniziate visto l’alto numero di morti avvenuto in tali strutture. Premesso che le indagini debbano fare il loro corso, e su ciò non ho nulla da dire, vorrei però far notare che in tutto il mondo all’interno di questo tipo di strutture, chiamate anche case di riposo, c’è stata una mortalità più alta della media. E già ciò dovrebbe farci riflettere. Non è successo qui o lì, in un posto sì e in altri cinquanta no. È successo ovunque. Quindi il problema sta, come si suol dire, nel manico!
Ora: le indagini mirano a verificare eventuali inadempienze o trasgressioni alle norme di legge, ma è anche vero che le indagini non possono mettere sotto accusa la legge stessa. Questo tocca alle nostre coscienze che poi si traduce in scelte culturali e politiche. Se in uno stesso luogo riunisco persone fragili, quelle più facilmente colpibili da eventuali malattie, spesso con altre patologie, cosa mi aspetto? Nè più nè meno ciò che è successo. E qui ci sono almeno due riflessioni da fare. La prima riguarda il fatto che abbiamo costruito città e case non a misura di anziano, frutto anche di una mentalità dello scarto, come dice papa Francesco. Ed anche i figli più affettuosi non sempre riescono ad accudire personalmente il genitore anziano. Quindi andrebbero indagati anche architetti, ingegneri, urbanisti e tutti i pubblici amministratori che hanno permesso la costruzione di queste città e poi i mandanti ovvero noi che li abbiamo eletti! Questa è una causa remota. Poi ce n’è un’altra più prossima: l’allocazione delle risorse. Sapete quanto guadagna, al mese, una persona preposta all’assistenza di persone anziane? Forse poco più di mille euro. E sapete a che mole di lavoro è sottoposta? Turni notte\giorno, sabato e domenica, feste comandate e non comandate, carico psicologico non indifferente visto la quantità e qualità di relazioni a cui è sottoposto. Chi farebbe cambio? A loro si chiede competenza ed umanità, ed il più delle volte io l’ho vista e posso testimoniarlo, e cosa si da loro in cambio? Le risorse da destinare ad un servizio così importante devono essere adeguate e forse, dico forse, è giunto il momento di usare la fantasia per pensarci all’interno di una comunità di persone che non allonatana chi ha bisogno di cure, consapevoli che la prima cura è la relazione. Non si saprà mai quante persone sono morte di solitudine.
USA (United States of America)
Cambia solo la prima lettera e ci troviamo in altro mondo, altra società, altra cultura, altre situazioni. Questo mondo, piaccia o non piaccia, con i suoi punti di forza e le sue contraddizioni è poco o tanto, credo tanto, il modello socio-economico a cui ci si ispira. Senza demonizzare nessuno però qualche domanda dobbiamo porcela, almeno una: “E’ questo il modello a cui aspirare?”
Forse no, pur ammettendo che non è tutto da buttare. Ed a me, cittadino europeo, lasciano perplesse alcune notizie. In Italia appena si è paventata l’idea di una quarantena generalizzata è partito l’assalto ai supermercati al termine del quale non si trovava più Nutella ma ancora qualche pacco di pasta integrale (scherziamoci sopra!); negli USA è partito l’assalto alle armerie! Notizia falsa o come si dice oggi “fake news”? Forse, lo spero. Certo che vivere in un posto, e questa non è una falsa notizia, dove non si riesce a far approvare una legge sul controllo delle armi perché si lede un diritto a me, sinceramente, preoccupa. E dopo ogni strage scolastica anziché togliere armi dalla circolazione qualcuno afferma “Armiamo i professori così possono difendersi” . Cosa c’entra questo con il Covid-19? Forse niente o forse qualcosa visto che gli Stati Uniti sono il paese più colpito. Forse non c’è un legame diretto ma se spendo in armi non spendo in sanità. E se quella notizia non è falsa bisognerebbe chiedere loro perché comprano pistole e fucili per proteggersi da un virus.
Invece un legame diretto c’è tra epidemia e disoccupazione. In poco più di un mese negli Stati Uniti si è passati da un tasso di disocupazione di circa il 4% al 14%. Vero è che se l’economia riparte, visto il loro modello, gran parte della disoccupazione verrà riassorbita ma rimane il fatto che si è numeri, e forse in questo caso si capisce anche perché possedere un’arma non è così strano.
Quindi possiamo tornare alla domanda: è quello il modello di società che ci piace, verso cui stavamo andando e verso cui vogliamo tutt’ora andare?
CHIESA
Per chiesa qui intendo la chiesa cattolica. Questo periodo ha evidenziato non tanto un confronto (ed eventualmente scontro) tra posizioni “ecclesiali” diverse. Nella lettura fatta di numerosi articoli di ogni orientamento non mi è parso di cogliere differenze dottrinali ma modelli molto diversi di essere quotidianamente chiesa. Credo che essa, ed è ovviamente una mia posizione, stia scontando un ritardo metodologico rispetto ai tempi. Essa parla con un linguaggio che non è comprensibile se non a coloro che sono già addetti. La questione principale, per me, non è quella di rendere moderni i contenuti, assolutamente no, ma di essere capaci di parlare alle persone di oggi e affrontare i problemi di oggi. Il distacco vita della chiesa-vita della gente è enorme e si va sempre più amplificando e per colmarlo non si prendono le dovute iniziative, a partire dal campo formativo. Siamo ancora in una chiesa, con buona pace del Concilio Vaticano II, clericale, autoreferenziale, monopolizzata dalla, importante ma non unica, attenzione ai Sacramenti. Quante risorse si spendono per il catechismo dei bambini e quanto per incontrare e formare adulti nell’essere laci cristianamente responsabili, capaci di camminare per le strade delle città che sono i sentieri di Dio? Questo schema ha prodotto anche una “classe” di fedeli a cui va bene, e quindi il distacco fede-vita continua maggioritario tra le persone. Ed anche cambiare non è facile, poiché le battaglie si combattono con le persone che ci sono e con gli strumenti che si hanno.
Riporto qui le parole di don Carlo Gnocchi, scritte in “Cristo con gli alpini”, che io trovo di critica per la Chiesa del suo tempo e che ritengo molto valide ancora oggi.
“Da due anni sono cappellano militare, ma donde viene alla mia vita spirituale questo senso tutto nuovo e originale di pienezza, di dilatazione e di gioia, ordinata e virile che erompe dalle mie profondità, anche nelle inevitabili angustie dell’ora e tra gli spettacoli più angosciosi della guerra? Perché altri Cappellani hanno confessato, come me, che la vita militare ha segnato una generosa rinnovazione del loro sacerdozio? […..] Qui invece si tratta di un fatto estremamente personale, di una realtà interiore mai prima d’ora sperimentata, di una nuova e felice dimensione dello spirito che riguarda la mia personalità e quella soltanto. Qualche cosa che nasce dall’immissione profonda dell’individuo nella massa, della consunstanzialità dell’uomo con la tragedia del suo tempo e con la stretta consaguineità con quelli che ne sono i protagonisti più diretti: i combattenti. È il sentirsi efficacemente e sperimentalmente irradiati nella storia, fatti carne e sangue con la propria gente, attori di primo piano in questo dramma immane che dà allo spirito questa pienezza vitale, questa socialità gioiosa e questa coralità immensa. La vita ordinaria del sacerdote può nascondere l’ambigua e difficile tentazione di segregarsi dalla massa, nell’intento di elevarsi, può creare lentamente diaframmi opachi tra lui e il popolo, e stabilire alla fine, negli spiriti meno vigili e meno vasti uno stato di splendido isolamento.”
Quindi anche qui si pone la declinazione del titolo: a quale chiesa vogliamo tornare? Davvero la chiesa di prima era adatta, ed è adatta, ai nostri tempi? È presenza viva e vivificante, anche eventualmente in contrapposizione con le idee e le mode dominanti, del mondo di oggi?
TASSE
Credo che questa epidemia abbia mostrato un dato insindacabile: l’evasione fiscale, la corruzione in ogni forma, sono reati “contro l’umanità”. E come tali devono essere perseguiti! Occorre un cambio di mentalità e un cambio di legislazione. Il cambio di legislazione è anche propedeutico al cambio di mentalità ed è in tal senso che le pene devono essere adeguate. Ad esempio restituire allo Stato cinque volte tanto le somme evase e il carcere simile al “41bis”. Non è e non deve essere vendetta ma la consapevolezza che evadere le tasse, corrompere e farsi corrompere, mina alla base la convivenza civile, le relazioni comunitarie, la stessa esistenza di servizi essenziali come la sanità, i servizi educativi per minori, disabili, anziani, stranieri da integrare, servizi di cura dell’ambiente, culturali e tanto altro. Molti morti conseguenza di questo virus sono in realtà omicidio, ed il colpevole è chi non ha pagato le tasse.
CONCLUSIONI
Forse a qualcuno la “normalità” di prima andava bene, a qualcun altro no. Ma se un fatto così grave succede senza che nulla cambi allora vuol dire che ciò che è capitato non è servito a nulla e a nulla è servita tutta la sofferenza e la fatica generata. Persa.
Allora, almeno per rispetto a chi ha perso delle persone a cui voleva bene e a chi si trova in gravi difficoltà economiche, proviamo a pensare, ad accordarci, su cosa cambiare per stare meglio tutti.
Un suggerimento: sarebbe opportuno passare da un sistema, che diventa cultura e legge, in cui io basto a me stesso e gli altri si arrangino ad un sistema in cui a livello personale e di comunità civile sia chiara, e rimanga nel tempo, l’interdipendenza nella responsabilità. Non solo che dipendiamo dagli altri ma che siamo responsabili degli altri.
“Mi auguro fortemente che, superata questa emergenza sanitaria, non ci dimenticheremo la lezione che la lotta al virus ci ha insegnato: che per sconfiggere il male, qualsiasi male, bisogna cooperare, essere solidali, avere cura del bene comune senza abbandonare i deboli, i poveri, i diversi e i migranti. Solo il “noi” può darci sicurezza, speranza e futuro. Non torniamo a un’umanità malata.” (don Luigi Ciotti)
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