Piccola condivisione intorno alla parola “inutile” e al binomio umanità-disumanità.

Premetto subito, a scanso di equivoci, che questa condivisione non ha nessuna valenza politica, di critica o di assenso a nessuno. Non è un giudizio ma una condivisione.

In questi giorni di “distanziamento sociale” mi sento inutile. Il mio lavoro, il mio impegno, di prendermi cura delle persone umanamente e spiritualmente non rientra nei lavori essenziali. Questa situazione mi ha fatto e mi fa tutt’ora riflettere. E mi provoca. Cosa significa “inutile”? Anche Gesù dice, in Lc 17,10, “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare»”. Inutile! Interessante: fare il proprio dovere e non solo essere considerato inutile dagli altri ma ritenersi inutile! Inutile significa che non serve o che NON realizza utile, fatta salvo la giusta paga per il proprio lavoro, ovvero non cerca la propria utilità? Nel primo caso la situazione esistenziale sarebbe drammatica, nella seconda accezione invece anche il “non servire”, spero temporaneo, può essere trasformato in utilità per gli altri. È una intensa esperienza interiore di conoscenza di sé e per chi crede di relazione con Dio.

Passiamo al binomio “umanità-disumanità”. La disumanità peggiore che questa epidemia ha evidenziato è morire soli! Una disumanità non cercata, nessuno ha ammazzato nessuno, ma non per questo meno brutta. Non ci sono colpevoli solo perché siamo tutti colpevoli! Mi chiedo: la cura della malattia può trasformarsi in cura del malato? Possiamo prevedere, in futuro, di fare in modo che anche di fronte a situazioni simili non venga meno la nostra umanità che rende dignitosa anche la morte?

Una parola di speranza: anche Gesù è morto solo, ma questa morte mostra che la Vita ha ancora qualcosa da dire.

Ma adesso che viene la sera ed il buio
mi toglie il dolore dagli occhi
e scivola il sole al di là delle dune
a violentare altre notti:

io nel vedere quest’uomo che muore,
madre, io provo dolore.
Nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l’amore”. (De Andrè, Testamento di Tito)

(Foto di Bohumil Sluka da Pixabay)